sabato 24 maggio 2008

Cronaca - Tracce di una sparatoria


Ieri , verso l'una di pomeriggio, stavo tornando a casa e mi trovavo in Piazza dello Spirito Santo: a pochi metri dalla chiesa, nella corsia opposta a quella dove si trova l'agenzia funebre, ho fatto un simpatico ritrovamento: al bordo della carreggiata c'era un proiettile di pistola. Dorato, con la caratteristica forma a dirigibile Zeppelin, (o se preferite, a forma di supposta), giaceva lì per terra, senza chiedersi un perchè.
Ho scattato un paio di foto e ho chiamato la polizia. Subito uno degli agenti ha ritrovato altri proiettili.
Questi però, a differenza del primo, erano esplosi, con la punta mozzata. Da quelle parti, se non proprio in quel punto, c'era stata una sparatoria.

Sembrerebbe che i proiettili siano gli stessi che usano i carabinieri, ma il condizionale è d'obbligo.
La pallottola trovata intera probabilmente è caduta al carabiniere durante l'inseguimento.

Politica - Il futuro dell'Abruzzo

Il futuro dell'Abruzzo: Regione dei Parchi o a vocazione industriale?


L'uomo venuto dal Nord.

Ogni tanto, quando sento parlare dell'economia abruzzese, mi torna in mente un simpatico episodio che mi è rimasto impresso nella memoria: mi trovavo al Porto Turistico di Pescara (la parola "turistico", come termine distintivo, può essere anche superflua visto che un porto vero e proprio, a Pescara, non c'è); un signore distinto, sulla sessantina, (probabilmente un uomo d'affari), elogiava la bellezza dello scalo pescarese e della mia città in generale: "ma questo è un Meridione che io non conoscevo: questa, signor, è la Svizzera!"

Se si lascia passare il fatto che in Svizzera ci sono porti turistici solo sui laghi, poichè il mare non c'è, la frase rende l'idea: Pescara non sembra una città del Meridione (a cui l'Abruzzo viene ancora oggi accomunato), ma è, a pieno merito, una delle città più ricche dell'Italia centrale.

Le nostre aziende e il nostro verde

Questo discorso è estendibile all'intera regione: lo stato di benessere generale, la cura da parte delle amministrazioni del territorio, la qualità della vita nelle città e nei borghi abruzzesi sono speriori agli standards del sud: da noi si vive bene.

Ci sono solide realtà nel campo economico: le zone industriali presenti nelle quattro provincie, il polo chimico, le aziende vinicole e agroalimentari sono solo alcuni esempi.

Importante è anche la presenza dei parchi, con un turismo naturalistico e montano che si cerca di far decollare.
Dire però ce la terra di D'Annunzio è il polmone verde d'Europa e altre sciocchezze sa di un campanilismo miope di cui molti fanno uso:
i politici per ingrandire i loro meriti, gli imprenditori del turismo e dell'agricoltura per preservare i loro affari.

In questo modo però non si contribuisce allo sviluppo della regione.

La discarica di Bussi e il fiume Aterno-Pescara ai primi posti nella classifica dei fiumi più inquinati d'Italia non si possono nascondere.

Quale modello di sviluppo scegliere?

Al di là delle disquisizioni teoriche su come realmentele cose stanno in Abruzzo, ciò che mi interessa stabilire è: quale sviluppo intendiamo dare alla nostra regione?
Dobbiamo puntare tutto sulla conservazione del nostrio territorio, slla manifattura artigianale e sul turismo, o dobbiamo puntare sul progresso industriale e tecnologico?

L'unica risposta che abbiamo dato, negli ultimi anni, a questi interrogativi è lo stallo più completo.

La terra dei no

L'Abruzzo ha detto no alla centrale Turbogas, alla centrale a Biomasse sul fiume Aterno-Pescara, al Centro Oli di Ortona (che altro non è che una raffineria)
O megli, non ha detto no: alle decsioni dei politici sono stati sempre contrapposti degli stratagemmi che ne rinviassero l'attuazione.

Vecchia storia è quella del terzo traforo sul Gran Sasso, che viene riproposto ciclicamente.

Io non sono nè favorevole, nè contrario a questi provvedimenti: non posseggo le competenze tecniche necessarie per poter emettere un giudizio certo.
Chi è favorevole, elenca le possibilità che potrebbero esserci in termini di svluppo economico e di occupazione;

chi si oppone elenca i rischi di inquinamento e di danni alla salute delle persone. Sullo sfondo, però, c'è una domanda che non ottiene risposta:

Quali sono i progetti per il nostro futuro?

Il vero problema è che la classe dirigente non ha ancora deciso cosa fare: se scegliamo la natura e il turismo, dobbiamo fare molto di più: ulteriori infrastrutture, impianti sciistici, centrali elettriche ad energia pulita (quella a bio-masse lo è), rimboschimenti, bonifiche, strategie per l'incremento dell'occupazione nei settori economici eco-compatibili.

Se invece scegliamo modelli di sviluppi tradizionali, dovremo accettarne il prezzo.

Dire sempre di no e lasciare tutto così com'è, invece, ha un solo risultato: il regresso.

Regresso in campo economico, culturale, tecnologico.

C'è bisogno di fare dei progetti e di guardare un po' oltre, a venti, trent'anni da adesso. Auspico che gli Abruzzesi abbiano, una volta per tutte, il coraggio di guardare lontano.

mercoledì 21 maggio 2008

Racconti - Come si diventa Cinno

(Da Bar sport, di Stefano Benni)
Il piccolo Masotti, il primo giorno di scuola, non piangeva come tutti gli altri bambini.
Mangiava un fruttino di cotognata e si guardava intorno. Piangevano, invece, i Masotti genitori, perchè era il giorno che sognavano da anni. Il piccolo Masotti fu inquadrato con tanti bambini neri e tante bambine bianche. Il direttore, un uomo dallo sguardo severo e dai modi bruschi, li guardò sfilare tutti davanti senza una parola.

Quando passò Masotti gli disse: "Tu, aggiustati il fiocco", e fece l'atto di toccarlo: Il piccolo Masotti estrasse dal grembiulino nero una gambina secca e piena di bozzi da caduta da bicicletta, e colpì il direttore a cavallo delle braghe.
Ebbe così inizio la carriera scolasica del piccolo Masotti.

Il piccolo Masotti era figlio unico di due Masotti. Masotti padre era camionista e portava pesce refrigerato su e giù per l'autostrada: triglie giapponesi, merluzzi di Hong Kong e un rombo di Cattolica a far da guardia.
Guidava tutta la notte con la sola compagnia di un pacchetto di nazionali e una foto a colori di Ava Gardner, con autografo falso fatto dalla moglie.

Non aveva mai avuto incidenti, tolta la distruzione di un Mottagrill Pavesi nel 1968 e una caduta nel Po per la quale i pescatori della zona continuarono a pescare seppie per molti anni a seguire.
Guadagnava quanto bastava per non morir di fame, ma sognava per il figlio un futuro diverso.

Masotti madre faceva le tendine a fiori con una macchina da cucire a pedali, il casco in testa e una maglia della Legnano per non sciupare i vestiti. Le vendeva agli ospizi e ai camionisti amici del marito, per cui faceva anche la decoratrice. Prendeva un vecchio tre assi e in un giorno lo trasformava in un confortevole chalet svizzero, con vasetti di fiori, fodere con i conigietti, tappetini e, a richiesta, un abat jour sul retrovisore. Anche lei sognava per il figlio un futuro diverso.

Fu deciso che il piccolo Masotti si sarebbe laureato e avrebbe fatto l'avvocato. Fu allevato con grandi dosi di minestra e, su consiglio degli amici del bar, con giochi che sviluppavno l'intelligenza, come la battaglia navale e il meccano. Ma il piccolo Masotti non si rivelò subito nè geniale nè più avanti di quelli dell sua età.

Le sue corazzate affondavano come biscotti, e l'unica cosa che riuscì a fare col meccano fu un metro snodabile da sarto. Non leggeva Kant, non aveva orecchio per la musica, se gli si metteva la matita in mano disegnava sempre la stessa cosa, una patata, e poi si addormentava.
"E' ancora bimbo, verrà fuori", dicevano i Masotti genitori, ma erano un po' preoccupati.

Masotti padre lo rimpinzava di fosforo, e ogni tanto rubava qualche quintale di merluzzo congelato dal carico e obbligava p.M. (piccolo Masotti) a mangiarlo a merenda.
P.M. non protestava, si metteva il pesce in bocca e andava a giocare sotto il camion.

La prima pagella del Masotti fu tutta di 1, con un 3 in ginnastica. Il maestro disse che il ragazzo, si vedeva subito, era svogliato, non seguiva, e passava il tempo a intagliare con un temperino. Aveva già distrutto il suo tavolo ricavandone due zoccoli olandesi e una mazza da baseball, e doveva tenere i gomiti poggiati sulla porzione del compagno.

Le sue schegge di legno erano un pericolo mortale per la classe, perchè partivano come proiettili.
Era capace di far decollare, in un giorno, fino a duecento aeroplanini di carta, alcuni dei quali restavano in aria anche dieci minuti oscurando la visibilità.

I suoi dettati pesavano come crescenti fritte e trasudavano inchiostro e sudore.
Faceva delle a larghe come un foglio e doveva fermarsi a metà della curva.
Fu subito bocciato.

Masotti padre, per l'incazzatura, prese su e andò da Bologna a Taranto in tre ore da casello a casello, tanto che il camion si surriscaldò e arrivò a destinazione un gigantesco carico di fritto che si sparse pr la città dei due mari.

La Masotti madre non disse niente, continuò a pedalare sulla macchina da cucire, ma con l'aria triste di chi è rimasto staccato dal gruppo in salita.
Il p.M fu mandato a ripetizione dal professor Manicardi, bella figura di studioso, che lo legò alla sedia e gli lesse per 9 ore Leopardi, tutti i giorni, per tre mesi.

Il piccolo Masotti imparò a memoria la metà dell' "Infinito", poi fece la doccia e dimenticò tutto.

Fu bocciato anche qello seguente, e poi quello seguente.

Allora Masotti padre gli disse che se non si metteva a studiare non gli avrebbe più dato da mangiare.
Il p.M. accusò il colpo. Tutte le notti si sentì ripetere " Se un contadino ha nove mele e ne vende la metà....". Studiò per un mese, spostando grandi quantità di mele sul tavolo e contattando tutti i contadini della zona.
Alla fine propose come soluzione dieci mele e mezzo e una cambiale di meloni in tre rate.
Fu ribocciato.
Il Masotti padre si rassegnò. Invecchiato e con le gomme sgonfie, senza neanche più la forza di suonare il clacson, cominciò a girare in tondo sulla tangenziale senza voler vedere più nessuno.
Gli amici gli tiravano al volo panini e giornali dal finestrino, e una volta al mese una battona ex trapezista di circo si lanciava da un leoncino per tenergli compagnia.

La Masotti madre, invecchiata e incanutita, aveva smesso di pedalare e ora allenava una squadra di suore che facevano mutande carcerati.

Il piccolo Masotti, che aveva ormai diciannove anni e stazzava sul quintale, andava a scuola col suo grembiulino che gli copriva metà del torace, e la cartella con la solita vecchia matita, un mozzicone invisibile a occhio nudo, che portava a temperare da un orefice.

Andò avanti, finchè i soldi finirono.

Un giorno il piccolo Masotti aprì la cartella e non trovò la solita merenda,un panino con una cernia.
Quella sera non tornò a casa.
L'indomani, alle prime luci dell'alba, si presentò al bar.
Era nato un Cinno.

martedì 20 maggio 2008

Racconti - Il Cinno

(Da Bar Sport, di Stefano Benni)
La spalla del barista è il Cinno, ovvero il ragazzo di bar, altrimenti detto fattorino. Il Cinno ha una bella faccia rosea bombardata di brufoli e vive in simbiosi con la sua bicicletta, la bicicletta del Cinno. Con essa il Cinno piomba come un falco in tutti i punti dela città, supera gli autobus in corsa, atterrisce i cani e sgomina i vigili. Il Cinno, nell'andare in bicicletta, ha una serie di regole fisse:

a) E' severamente vietato mettere le mani sul manubrio. Questo non solo quando si hanno le mani impegnate con un vassoio di tazze,thermos e maritozzi, ma in ogni altra occasione.

b) L'andatura di cinno deve essere altalenante, ovvero la bicicletta deve dondolare da sinistra a destra e viceversa, sfiorando il suolo, di modo che nel raggio di venti metri non si frappongano ostacoli viventi.

c) Si cade sempre e solo sulle ginocchia, qualunque sia la dinamica dell'incidente. Questo crea il famoso ginocchio da Cinno, uno dei problemi della medicina moderna. Esso è costituito da un'arcipelago di croste e crostoni, che si rigenera continuamente.

d) Mentre pedala, il Cinno canta.

e) La via normale del Cinno è costituita da : marciapiedi, portoni, androni, giardini, portici.
La strada è accuratamente evitata, perchè pericolosa e le donne sono chiuse dentro le macchine e si vedono peggio.

Tutto questo comporta, naturalmente, che il Cinno sia molto odiato da vigili, pedoni e benpensanti.
Come si diventa Cinno? Si diventa Cinno perchè non si hapiù volia di studiare. Alcuni lasciao la scuola e fanno i vicedirettori nell'azienda del babbo. Altri si mettno a fare borse e cinture.
Altri ancora si fanno passar un piccolo stipendio mensile,si iscrivono ad Architettura e partono per il Gargano.
Altri, inspiegabilmente, preferiscono diventare Cinno.
Qualcuno parla di vocazione,altri di ragioni sociali. Come che sia, Cinno non si diventa da un giorno all'altro.

sabato 17 maggio 2008

Linguistica - Cinni, picie, fieno in cascina e pedalare.

Il Nord Italia riserva della fantastiche sorprese glottologioche: ricordo di aver scoperto una volta l'origine nordica di un giocatore del Pescara dal suo: "Dobbiamo fare punti e METTERE FIENO IN CASCINA". La stalla è puzzolente e abitata da animali, ma se le si cambia nome, ecco che una cascina a noi del sud può dare l'idea quasi di un loft.
Stimolante è la variante piemontese del mio amico Karim, che definisce "Picie" l ragazze dai facili costumi. Solo in Piemonte c'è questa variante: nel resto del nord si dice "picio" e sta ad indicare l'attributo virile maschile.
In materia di linguistica nordica, ammetto di essere ancora un "Cinno" (garzone in bolognese)